Mi cimentai nel peso, nel disco e iniziai scherzando a fare qualche salto con l’asta.
A Chieti non esistevano strutture per questa disciplina per cui saltavo con un’asta di bambù (residuato bellico) e atterravo, dopo il volo, in una buca di salto in lungo, nella sabbia.
Ricordo che senza suggerimenti tecnici, i primi approcci mi esaltavano, e provando e riprovando arrvai a saltare la misura di mt. 2,20: di più non si poteva perché i ritti che tenevano sù l’asticella erano quelli del salto in alto, appunto alti mt. 2,20, e c’era sempre il rischio ed il timore di atterrare in malo modo nella sabbia e farsi male
Siamo alla fine di maggio 1970, neI bel mezzo della stagione agonistica, quando a Pescara si organizzava una gara di decathlon (quella parola non l’avevo mai sentita prima).
Per gli atleti della Libertas “Artese” Chieti, questa gara era la solita occasione per poter varcare le mura cittadine ed andare all’ “estero” per divertirsi con lo sport.
Di quel nutrito gruppo di atleti scanzonati facevano parte : Dino Spinozzi, Lucio Di Tizio, Umberto Tuffanelli, Luciano Vinciguerra, Franco Schiazza, Franco D’intino (costoro avevano già in passato disputato gare di decathlon), Carlo Malandra, Lauro Corti, Costanzo Di Filippo.
Il sottoscritto, essendo ancora afflitto dalla fortissima tallonite a tutti e due i piedi, decise solo all’ultimo momento di partecipare.
La gara era stata organizzata per permettere di ottenere il minimo di partecipazione per i campionati italiani (4500 punti).
Naturalmente, quello era un decathlon affrontato senza la minima competenza in alcune specialità, come il lancio del giavellotto, i 110hs, il salto con l’asta, non foss’ altro perché, come dicevo, in quel di Chieti non esistevano le attrezzature idonee per allenarsi.
Quindi una gara all’insegna della più totale improvvisazione.
Ma che importava, tanto si andava per competere tra noi, e soprattutto per divertirsi
Che ridere, vedere le più “spettacolari” interpretazioni tecniche nelle varie discipline.
C’era chi saltava in alto a “pesce”, chi “all’italiana”, qualcuno abbozzava un Fosbury tutto casareccio, Franco Schiazza invece da buon specialista si esibiva in un ottimo ventrale (mt 1,75).
Per non parlare dei 110hs: chi abbatteva le barriere con le mani perché troppo alte da saltare, chi cadeva rovinosamente a terra perché ci inciampava sopra, chi le saltava “all’italiana”.
1l massimo però si è potuto vedere nel salto con l’asta.
L’asta, questa sconosciutal
In quella gara non c’era stato limite alle svariate tecniche di corsa con l’asta, imbucata, e valicamento dell’asticella: si è anche visto qualcuno che cercava di superare l’asticella passandoci dal di sotto.
Insomma un vero spettacolo comico.
Dal canto mio mi limito a ricordare che nel lancio del giavellotto, il primo lancio fu effettuato impugnando l’attrezzo al rovescio (chi l’aveva mai visto un giavellotto!), il secondo fu “nullo”, il terzo valido con la misura di mt. 23,88.
Le scene più commoventi furono quelle dell’arrivo dei 1500m, la fine del decathlon che corrispondeva alla fine di una grande fatica e di un incubo!
Stravolti ma felici, ci avviammo negli spogliatoi, in attesa della classifica finale.
Questi furono i miei risultati:
- 100m 12”3
- Lungo m 5,85
- Peso m 8,57
- Alto m 1,60
- 400m 58”7
- 110hs 21”8
- Disco m 23,45
- Asta m 2,40
- Giavellotto m 23,88
- 1500m 5’09”3
per un totale di 4508 punti.
Incredibile!
Avevo ottenuto il minimo di partecipazione ai Campionati Italiani!
Per otto punti si avverava il mio “sogno”.
A distanza di tempo, rileggendo con attenzione i risultati di quel mio primo decathlon, mi accorsi che nel lancio del giavellotto era stato computato in punteggio la misura di mt. 28,88, e non mt. 23,88 come realmente ottenuto.
Un errore di trascrizione da parte del giudice, sicuramente, di cui nessuno si accorse, ma quei cinque metri in più nel giavellotto rappresentavano molti più punti di quegli Otto per i quali avevo ottenuto il minimo, quindi fu così che grazie a quella svista, all’insaputa di tutti, iniziava la mia carriera di decathleta.
Moralmente, a quel punto, sentivo il dovere di dimostrare a me stesso prima che agli altri, di meritare quel verdetto, impegnandomi a fare il massimo per sentirmi in pace con la coscienza.
Il “sogno” realizzato comunque non aveva danneggiato nessuno essendomi classificato secondo con più di 500 punti di distacco dal terzo (Tuffanelli con 3980 punti).
Sempre in quel decathlon Dino Spinozzi vinse ottenendo oltre al minimo di partecipazione ai Campionati, il primato regionale Juniores con 5101 punti e la convocazione ad un raduno nazionale che si sarebbe tenuto a Formia.
Io fui chiamato al raduno che si teneva a Schio, e lì ho conquistato la prima convocazione in una rappresentativa nazionale, come triplista, per un incontro tra atleti italia Nord contro Italia CentroSud.
Per il salto triplo gareggiai in squadra insieme a Claudio Moretti di Roma, contro Daniele Segre (oggi un importante regista cinematografico) e Crescenzio Marchetti rispettivamente di Torino e Brescia.
Nella squadra Italia Centro-Sud (i “sudici”, come ci chiamavano gli altri) con me, figuravano altri nomi che poi hanno fatto la storia della Grande Atletica italiana e mondiale tra cui spiccavano: Franco Fava (futuro campione europeo ed olimpionico dei 3000mt siepi), Giuseppe Buttari (olimpionico dei 110hs), Massimo Magnani (olimpionico della maratona), ma soprattutto Pietro Mennea da Barletta (futuro primatista mondiale dei 200m con 19”72 e vincitore delle Olimpiadi di Mosca 1980) .